Il Mastio, carcere
giudiziario
Solitamente adibito sin dal Medioevo a caserma dei militari
dimoranti entro le mura del Castello, il Mastio normanno-svevo ospitò detenuti
a partire dalla prima metà dell’Ottocento, quando il governo borbonico decise
di impiantarvi un bagno penale in cui sarebbero stati reclusi i condannati ai
lavori forzati. Il «bagno del Maschio», alle dipendenze dei militari della
Marina, venne successivamente rimpiazzato da un carcere giudiziario, sorto
intorno al 1880 ed in esercizio sino al maggio 1960.
Gli anziani ricordano ancora la disposizione degli ambienti.
Accanto alla Cappella, nell’odierno vano ascensore, era ubicato il corpo di
guardia (cosiddetta portineria), ove sino a qualche anno fa rimanevano gli
avanzi della rastrelliera lignea che raccoglieva i fucili delle guardie
carcerarie. Qui tutti i militari, anche i Carabinieri che accompagnavano i
detenuti, dovevano spogliarsi delle armi da fuoco, per evitare che potessero
cadere nelle mani dei detenuti una volta varcato l’ingresso alle celle.
Dirimpetto alla portineria, nel corridoio posto tra il
portale d’ingresso del Mastio ed il secondo portale che immette nel cortile,
erano ubicati la sala colloqui ed il confinante ufficio matricola, dove
venivano registrati i detenuti in entrata ed uscita. Di tali locali non rimane
più nulla. Sopravvive invece l’attiguo spioncino con sportellino in legno
impiegato anche per il passaggio della documentazione. In prossimità di tale
spioncino, in cima alla scala in muratura, si conservavano sino al 2009 i resti
di una cucina, forse in dotazione all’attiguo alloggio del comandante delle
guardie carcerarie.
Uscendo dalla Cappella, si trovavano sulla destra l’ufficio
contabilità e di seguito la direzione, che si sviluppava anche al piano
superiore e la cui insegna dipinta in cima alla porta d’ingresso è ben visibile
in una foto degli anni Venti che ritrae l’intero personale del carcere allora alle
dipendenze del direttore Umberto Spanò. Nell’ufficio contabilità una guardia
carceraria annotava le ”librette”, conti correnti a scalare in cui venivano
depositate le somme in possesso dei singoli detenuti al momento del loro
ingresso nella struttura carceraria, nonché i proventi dei lavori svolti dagli
stessi all’interno del carcere: erano previste infatti le mansioni -
regolarmente retribuite - di cucinieri,
lavandai, ortolani e scopini,
questi ultimi addetti allo spazzamento dei locali. Mansioni cui venivano
destinati i detenuti che avevano dato prove di buona condotta, i quali potevano
destinare questi introiti all’acquisto di sigarette o per integrare il magro
vitto offerto dall’amministrazione carceraria.
Le celle dei detenuti erano dislocate lungo il perimetro
murario del Mastio, a sua volta contornato da torri, ora angolari, ora mediane,
le quali ospitavano, tra l’altro, un serbatoio idrico (torre nord), una
ulteriore cella destinata ai prigionieri (torre sud) ed una camera mortuaria
(torre sud-est, al cui esterno campeggia ancor oggi la suggestiva iscrizione in
pietre laviche che ricorda verisimilmente l’eccidio di 1750 milazzesi).
La più alta e possente delle torri, il torrione normanno,
ospitava invece al suo interno le temibili celle di rigore, mentre l’infermeria
era situata nel grande vano posto alla base dello scalone centrale del cortile,
quest’ultimo destinato all’ora d’aria dei detenuti ed alla riserva idrica, come
attesta il pozzo centrale con sottostante cisterna. Un lungo muro divideva il
vasto cortile, delimitando due distinte sezioni del carcere.
L’ambiente più esclusivo del Mastio, la grande sala con
camino, residenza in passato dell’autorità militare di Milazzo, ospitava
l’archivio del carcere ed era diviso in altezza da un rustico soppalco ligneo.
Una serie di basse casupole, oggi abbattute, occupava una
porzione del cortile, deturpando il complesso monumentale ed attirando negli
anni Venti le lamentele dell’autorità di tutela dei beni culturali anche per le
continue manutenzioni non autorizzate.
Nelle foto in basso: la grande
sala con camino quando era adibita ad archivio del carcere ed i documenti che
riportano le lamentele dell’autorità di tutela dei monumenti (1922/23)
Due contadini della provincia di
Messina arrestati per furto ed entrambi scarcerati nell’estate del 1899 dopo
aver scontato 6 mesi nel carcere del Mastio. La documentazione qui riprodotta
ne ricorda la detenzione, scaturita dal furto di un asino e di circa 90 litri
di derivato agrumario (agrocotto di limone).
Nelle foto in basso: il Mastio
nel 1965, 5 anni dopo la chiusura del carcere
(archivio ing. Domenico Ryolo)
Foto cucina by Carmelo Fulco
I detenuti politici
«Su una serie di
carrozzelle sgangherate raggiungemmo la caserma dei Carabinieri, quindi a piedi
continuammo il cammino verso l’erta del colle, sulla cui cima, con aspetto
minaccioso, era l’antico castello espugnato da Garibaldi durante la spedizione
dei Mille ed ora elevato a dignità di prigione. (…)
Ci accolse un gruppo di
confinati politici a Lipari che qui scontavano pene per infrazioni varie al
regolamento della colonia. Avemmo così le prime informazioni sulla vita che ci
attendeva. Nel gruppo v’era un socialista di Bologna, Paolo Fabbri, da un anno
in carcere per aver favorito la fuga [dalla colonia penale di Lipari, ndr] di
Emilio Lussu, Fausto Nitti e Carlo Rosselli (…).
A Milazzo trovammo il
carcere in tumulto perché vi era stato un conflitto tra due bande di
camorristi. I due capi di queste si erano sfidati a singolar tenzone con
coltelli ricavati da pezzi di branda, saltando nell’ora dell’aria il muro di
cinta che separa una sezione dall’altra.
La popolazione del
carcere era la più varia ma prevalevano le associazioni a delinquere. La figura
più notevole era quella di un conte, detenuto già da cinque anni ed ancora in
attesa di processo. Era stato amministratore di un brigante»
(Giovanni Ferro, Noviziato tra le isole. Socialisti senza
divisa - 1929-1945, Editrice Nuova Mercurio, Milano 1963, pagg. 56-57 e 95)
PAOLO
FABBRI fu partecipe del tentativo di fuga da Lipari messo in atto da
Lussu, Rosselli e Nitti. La notte del 27 luglio 1929 avrebbe dovuto fuggire
anche lui, ma all’ultimo momento venne intercettato da una pattuglia di
sorveglianza e allora si finse ubriaco e trattenne i militi, dando così modo
ai suoi compagni di allontanarsi in motoscafo e raggiungere Capo Bon in
Tunisia. Il giorno successivo, allorché fu scoperta l’evasione, venne subito
arrestato. Il 23 gennaio 1930 il tribunale di Messina lo riconobbe colpevole
di complicità nella fuga e gli inflisse una condanna a tre anni e tre mesi di
carcere. Fabbri trascorse il periodo di detenzione negli istituti di pena di
Milazzo, Saluzzo e Castelfranco Emilia, da dove fu infine liberato il 24 nov.
1932. Tornato a Lipari, il 3 gennaio 1933 venne trasferito nell'isola di
Ponza, dove trascorse gli ultimi otto mesi di confino.
"Fabbri è la riprova della vitalità del
socialismo... è un grande organizzatore - ha scritto Carlo Rosselli - a
Lipari si accontentava di fare il lavandaio. Ma un lavandaio autoritario.
Quando veniva a prendere la biancheria il servo eri tu, non lui. Terminato il
bucato, Fabbri studiava il francese e leggeva con la stessa energia con cui
per tanti anni aveva maneggiato la vanga" (Rosselli, Scritti politici,
p. 41).
E Francesco Fausto Nitti ha così ricordato Fabbri: "Era un
carattere adamantino, un'intelligenza vivace, una tempra di lottatore ...
figura di combattente puro e sincero" (Nitti, Le nostre prigioni,
p. 284).
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Paolo Fabbri
(1889-1945)
GIOVANNI FERRO nacque a Bergamo nel 1911. Arrestato nel 1930 per attività
antifascista nelle file del movimento “Giustizia e Libertà”, fu inviato al
confino di polizia per 5 anni: prima a Lipari, poi a Ponza. Entrato nel
partito comunista, fu intorno al 1935 uno dei promotori della sua
organizzazione clandestina e artefice, assieme a Ferruccio Parri e Rodolfo
Morandi, del Fronte Popolare. In seguito ad un nuovo arresto, nel 1936, fu
assegnato al confino nell'isola di Ventotene, e successivamente anche in
Calabria.
Scontata la pena inflittagli, rientrò a Milano
nel 1940 e dopo l’espatrio in Svizzera fu designato vice presidente del CLN
della Lombardia. Nel 1946 organizzò e diresse la prima Casa della cultura di
Milano, presieduta da Ferruccio Parri. Nel 1956, dopo l’intervento sovietico
in Ungheria, abbandonò il Pci per aderire al Psi. E’ morto a Milano nel 2008.
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Before
fascist Italy entered World War II, the country adopted internment measures
against “enemy subjects” who were present on its territory. This was the
practice of “confinement” (the practice of deportation introduced by
Mussolini since 1926 to rid himself of dissidents). Fascist regime sent many
of these dissidents to confinement colony of Lipari, like Giovanni Ferro,
Emilio Lussu, Fausto Nitti and Carlo Rosselli, who was helped by PAOLO FABBRI
to manage a sensational escape from “confino”
on the penal island of Lipari. But Fabbri was later arrested for his
collaboration and imprisoned in the Castle of Milazzo.
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